Contributo scuola di iconografia san Luca al Convegno Internazionale su San Luca del 2000
Hanno collaborato: Giovanni Mezzalira, Annarosa Ambrosi, Daniela Borgato, Wilma Pegoraro.
Si ringraziano quanti hanno fornito informazioni e suggerimenti qualificati, in particolare:
don Francesco Trolese, prof. Pina Belli D’Elia, prof. Sania Gukova, Padre Georges Gharib, prof. Valagussi.
Importanti informazioni sull’argomento sono disponibili anche sul Sito dell’Abbazia di Santa Giustina in Padova.
L’anniversario dell’Incoronazione della Icona Costantinopolitana della Beata Vergine Maria, Madre di Dio, venerata nella Basilica di S. Giustina ricorre il giorno 23 maggio.
Gli atti del Congresso su S. Luca sono stati presentati il 15/06/2002 presso l’Aula Magna dell’Abbazia S. Giustina in Padova. E’ stato illustrato il primo volume degli Atti del Congresso Internazionale “S. Luca evangelista testimone della fede che unisce”: l’unità letteraria e teologica dell’Opera di Luca.
Gli studi sull’icona costantinopolitana precedenti la realizzazione della ricostruzione
Venerazione per la Madonna Costantinopolitana nel corso dei secoli
- La visibilità dell’immagine
- L’icona della Madre di Dio Costantinopolitana che si trova a Padova,
- Il tipo iconografico
- Analisi stilistica
- Simbolismo del colore
- Simbolismo delle strutture spaziali
Venerazione per la Madonna Costantinopolitana nel corso dei secoli
“A Santa Giustina è venerata un’antica immagine di Maria Vergine che uscì illesa dal fuoco in cui la fece gettare nel 741 l’iconoclasta Costantino. La portò a Padova da Costantinopoli santo Urio”.
La Madonna Costantinopolitana conservata a Santa Giustina – secondo qualche studioso l’immagine mariana più antica che si conosca a Padova – è stata per secoli molto venerata dai padovani che la consideravano la protettrice misericordiosa della città. Le cronache e le testimonianze la ricordano come un’icona miracolosa che godeva di un culto molto antico e fortemente diffuso. Posta nel sacello di San Prosdocimo, in particolari circostanze veniva portata in processione: preghiere e suppliche le erano rivolte soprattutto in caso di siccità o per difendere i raccolti dal maltempo.
Pietro Barozzi, vescovo di Padova dal 1487 al 1507 in una lettera ai monaci di Santa Giustina sottolinea la miracolosità dell’icona. Scrive che nei periodi di grande siccità i fedeli ricorrevano fiduciosi alla Madonna Costantinopolitana. Dopo tre giorni di digiuno l’icona veniva portata con grande rispetto dal popolo e dai monaci intorno al Prato della Valle e raramente rientrava nella chiesa di Santa Giustina senza che la gente avesse ottenuto la tanto desiderata pioggia.
La venerazione per la santa icona continuò fino alla soppressione napoleonica del monastero di Santa Giustina. Il culto della Costantinopolitana scaduto dopo la cacciata dei monaci riprese con intensità per opera di monsignor Andrea Panzoni, ultimo parroco secolare della basilica. Così il 23 maggio 1909 con l’approvazione di Papa Pio X si celebrò presente il patriarca di Venezia e molti vescovi del Veneto la solenne incoronazione dell’icona. Il 20 novembre 1917 poiché la basilica era stata destinata ad accogliere 2800 carabinieri reduci da Caporetto l’immagine fu trasferita, al Pontificio seminario romano. Tornò a Padova il 26 gennnaio 1919.
Fino agli anni Cinquanta, invocata come Salus populi patavini fu più volte portata processionalmente in Prato della Valle e solennemente esposta sull’altar maggiore della basilica. Cerimonie religiose vennero organizzate con particolari fasti in occasione della ricorrenza del venticinquesimo e del cinquantesimo anno dell’Incoronazione ( maggio 1934 e maggio 1960)
La visibilità dell’immagine
L’icona si presenta attualmente gravemente compromessa: tranne parte del volto della Madonna e di quello del Bambino, poche tracce superstiti delle aureole e alcuni frammenti del maphorion, il resto della tavola appare quasi completamente rovinato. La tavola è danneggiata da evidenti bruciature. Secondo la tradizione i segni del fuoco sono dovuti al rogo in cui venne gettata a Costantinopoli nel periodo delle lotte iconoclaste. Viene tramandato infatti che la tavola, il cui autore sarebbe, per tradizione, lo stesso San Luca evangelista, scagliata tra le fiamme sarebbe volata miracolosamente tra le braccia di una donna che l’avrebbe consegnata al prete Urio custode della basilica dei Dodici Apostoli di Costantinopoli. Questi tra l’VIII e il IX secolo avrebbe portato a Padova, a Santa Giustina, il corpo di San Luca le reliquie di San Mattia e l’icona per sottrarli alla ferocia iconoclasta.
Di sicuro fu danneggiata dal fuoco prima del XVI secolo.
Già nel Quattrocento l’icona era molto rovinata. E’ ancora il Vescovo Pietro Barozzi ad evidenziare, nella lettera ai monaci di Santa Giustina, il cattivo stato in cui si trovava la tavola miracolosa intaccata da macchie, sgorbi, velature dovute alla vetustà dell’immagine e all’umidità del luogo in cui era conservata. Ma la necessità di interventi doveva protrarsi da lungo tempo. Il fatto di non realizzare alcuna operazione di restauro sarebbe stato motivato da un episodio miracoloso. Barozzi ricorda che, poiché l’immagine venerata e invocata andava deperendo, e l’umidità del luogo aveva cancellato le figure e i colori, un abate (ma non precisa quale e in che epoca) aveva pensato di far ritoccare la tavola da un pittore per ravvivarne colori e linee: Ordinò allora l’abate di portare la tavola da un pittore perché la restaurasse, ma la tavola misteriosamente sparì e fu ritrovata ancora al suo posto come mai vi fosse stata rimossa. Il fatto prodigioso risuonò come un ammonimento: la Madonna non voleva che la sua immagine fosse ritoccata da mano umana. Così finì per deteriorarsi sempre più.
Nel Cinquecento l’icona, ormai quasi illeggibile, fu “rinnovata” ricorrendo a una strategia particolare.
La preziosa tavola, in cui a mala pena si distinguevano le figure della Vergine e del Bambino, fu ricoperta da una tela sottilissima, dipinta ad olio con i soli due volti della Madre e del Bambino. (vedi immagine a lato)
La nuova tela, sovrapposta alle figure quasi scomparse, ha dipinti solo i due volti perché tutto il resto, secondo una tradizione orientale probabilmente recepita in area veneta, è stato a sua volta rivestito da una riza d’argento dorato e sbalzato con le due figure della Vergine e del Bambino. (vedi immagine)
Va ricordato che l’autore (un pittore cinquecentesco di area veneta), non tiene conto, forse per la scarsa leggibilità, dell’originale sottostante. L’esempio più evidente è l’orientamento del capo del Bambino del tutto diverso, nell’immagine cinquecentesca, da quello dell’icona bizantina. Stupisce invece, per quanto riguarda la riza, il fatto che viene mantenuto il disegno del drappeggio sulla spalla sinistra della Madonna a segmenti di pieghe rigide, tipicamente bizantino.
Di fatto, a seguito dell’intervento cinquecentesco, l’antica Costantinopolitana, ricoperta da una Madonna e da un Bambino completamente diversi, “sparì” del tutto dalla vista dei fedeli fino al 1959.
Sul pessimo stato di conservazione della Costantinopolitana si sono soffermati molti studiosi. Andrea Moschetti nel 1925 così la descrive: “..ogni figura è scomparsa dalla tavola di santa Giustina, vi rimangono solo le aureole della Madre e del Bambino scolpite in rilievo nella tavola stessa, i contorni delle due teste ed appena un poco del panno che copriva il capo della Madre…”.
Arnaldo Roberti, monaco di Santa Giustina nel 1934, in occasione del venticinquesimo anno dell’incoronazione della Madonna annota: “La tavola preziosa che si conserva dietro all’attuale pittura cinquecentesca e che sarebbe proprio quella portata a Padova da S.Urio nell’VIII –IX secolo, porta ancora, reliquia veneratissima, le tracce delle fiamme distruggitrici, che la bruciacchiarono tutta all’intorno. Le figure bizantine della Vergine e del Bimbo divino (sono) quasi scomparse e appena decifrabili tra lo sciupio fatto dal tempo, dal tarlo e dagli uomini”.
La sovrapposizione delle due immagini ha fine nel 1959 anno in cui si decide di separare l’icona dalla sovrastante pittura cinquecentesca. Quest’ultima, con la copertura metallica, viene collocata nel transetto di San Luca, mentre la Costantinopolitana, dopo l’intervento di restauro del 1960 del professor Antonio Lazzarin che riporta alla luce i volti della Madonna e del Bambino, è sistemata per breve tempo in sacrestia, poi sull’altare del coro vecchio e infine all’interno del monastero dove tuttora si conserva.
L’icona della Madre di Dio Costantinopolitana, che si trova a Padova presso il Monastero di Santa Giustina è dipinta su tavola di legno intagliato, con margini dei bordi rialzati e aureole bombate.
E’ molto rovinata a causa di bruciature, tarlature, buchi e corrosioni.
Il fondo e le aureole presentano resti di decorazioni a gesso e doratura.
Per quanto riguarda il disegno e la pittura, gli elementi più leggibili sono i volti.
Scarsamente leggibili sono i drappeggi, mentre le mani di entrambi i personaggi e i piedi del Bambino mancano totalmente.
Il tipo iconografico
Il tipo iconografico cui collegare questa immagine sembrerebbe quello della Madre di
Dio ODIGHITRIA (il titolo significa “colei che indica la via”, ed è reso pittoricamente dal gesto della mano che indica il Bambino Gesù), nella variante dexiokratousa (che regge il Bambino con la mano destra).
Ma rispetto all’iconografia classica, nell’icona padovana il Bambino è rappresentato con la testa rivolta verso l’esterno, e lo sguardo di entrambi è rivolto verso lo spettatore. quasi a sollecitare un silenziosa comunicazione a livello interiore. (vedi particolare che mostra i due volti della Madre di Dio e del Bambino Gesù).
Tali caratteristiche la differenziano, anche per intenzione teologica, dalla tipologia dell’Odighitria, mentre la avvicinano a un tipo che compare tardivamente, molto diffuso tra il XV e il XVII secolo in ambito greco-cretese: quello della Madre di Dio della CONSOLAZIONE, nota in area slava col nome di Palestinskaia.
Più anticamente (secoli XII-XIII) tali caratteristiche erano presenti nel tipo della KIKKIOTISSA (dal nome di un monastero cipriota dove se ne trovava un prototipo attribuito a s.Luca). In questo modello i volti dei personaggi sono vicini, fino a ricordare il tipo della Tenerezza e lo sguardo del Bambino (e spesso anche quello della Madre) si dirige verso lo spettatore. Particolare è il movimento delle mani: il Bambino consegna nelle mani della Madre il rotolo contenente la sua Parola.
Una variante è il modello AXION ESTI, di cui l’esemplare antico è conservato al Monte Athos.
In entrambi questi casi il Bambino non è seduto in posizione statica, ma, oltre al movimento delle mani, è presente anche l’agitarsi delle gambe, nude dal ginocchio in giù.
Una contorsione del busto, oltre che della testa, si nota anche nell’icona padovana.
Alcune tavole, affreschi e mosaici presenti in Italia fin dal ‘200 – ‘300 mostrano significative analogie, facilmente individuabili, con la nostra Costantinopolitana.
Analisi stilistica
L’analisi di alcuni dettagli stilistici e aspetti decorativi rivela interessanti collegamenti spazio-temporali:
le proporzioni della tavola, la composizione, la tipologia di alcune decorazioni, i rilievi del margine, il drappeggio e le luci rivelano affinità con icone del Sinai, databili agli inizi del XIII secolo e con icone macedoni del XIV secolo,
la grafia dei volti, e lo stile del drappeggio sono tipici di affreschi e mosaici diffusi già prima del Mille in area bizantina (epoca della dinastia Macedone),
il modellato dei volti richiama fortemente icone presenti in Puglia nel XII-XIII secolo, così pure il fregio del manto e le modalità decorative del fondo e delle aureole,
l’iscrizione del nome su medaglioni purpurei è attestata il opere presenti al Sinai agli inizi del XIII secolo.
Nella ricostruzione del disegno e della pittura si è cercato di integrare le parti mancanti con quelle esistenti in un insieme coerente e unitario, attingendo dai modelli antichi più affini, visto che non si è trovato un archetipo univoco in cui far rientrare il soggetto padovano.
Si è mantenuto l’atteggiamento della mano “indicante” dell’Odighitria, la mano destra del Bambino è, come sempre, benedicente, mentre con la sinistra si è voluto richiamare i significativo gesto della Kikkiotissa e dell’Axion esti, nell’intenzione di recuperare un atteggiamento che potrebbe essere significativo messaggio anche per il nostro tempo: quello del Bambino che affida il rotolo della sua Parola alla Madre, perché, come dice l’Evangelista Luca, lo custodisca nel suo cuore. E, si può aggiungere, nel nostro.
Simbolismo del colore nelle vesti della Madre di Dio con Bambino
II color porpora del maphorion (manto).
La tradizione bizantina attribuisce a questo colore un significato di totalità. Deriva infatti dall’unione dei due colori fondamentali opposti: il rosso (caldo) e il blu (freddo), ottenuti in pittura con il cinabro (fuoco) e il lapislazzuli (acqua). Da ciò il carattere regale di questo colore.
La porpora antica derivata dal mollusco estinto Murex Trunculus: come Plinio ci descrive, è una sostanza che disseccata si separa in due: una azzurra e una rossa. Ciò spiega il famoso effetto cangiante dei tessuti tinti con essa: presentavano infatti riflessi dal rosso all’azzurro.
Il valore simbolico è pertanto intuibile come misteriosa unione degli opposti in una totalità.
Nelle icone della Madre di Dio il maphorion può assumere le diverse gradazioni della porpora, ove prevalga il rosso o l’azzurro.
Il color aranciato con crisografia della tunica del Bambino.
La tradizione bizantina rappresenta di norma la veste di Cristo Emmanuele (bambino)
nonché Risorto e Glorioso come il nuovo Adamo, con il colore di un’argilla rossastra, richiamando in ciò anche il significato etimologico della parola adamo ( = rubicondo).
Con la crisografia il colore della terra viene compenetrato dalla luce divina di cui l’oro è simbolo: l’opacità della materia riceve la luce trasfigurante dello spirito.
Simbolismo delle strutture spaziali
L’incorniciatura del volto è costruita avendo come riferimento di base l’asse orizzontale GH, cosicché il volto della Madre di Dio è collocato unicamente nella parte superiore dell’icona.
All’interno, l’occhio (che è l’unico visibile nell’originale) è il centro di uno spazio simbolicamente scandito, essendo collocato all’incrocio tra l’asse verticale EF con il lato CD del quadrato ABCD costruito sulla base AB dell’icona.
L’inclinazione dei volti, che determina l’asse dei nasi, la collocazione degli sguardi e delle bocche, anche nei loro rapporti reciproci, corrisponde esattamente all’inclinazione del lato DF del triangolo DFC.
Questa stessa obliquità impronta tutta la restante dinamica compositiva (inclinazione delle braccia, gambe, piede e il caratteristico drappeggio diagonale sulla spalla).
Il gesto della mano del Bambino che consegna il rotolo è stato collocato alla stessa presumibile altezza della mano benedicente, in modo da marcare l’orizzontalità (IL) che cade sulla scansione del terzo dell’asse verticale.
La ricostruzione si è inserita nelle dinamiche esistenti, rispettando il principio secondo cui punti significativi dello spazio strutturato coincidono con elementi pregnanti di significato dell’immagine.