La Chiesa possiede un patrimonio tradizionale di grande ricchezza artistica: chiese, cattedrali, santuari, vie crucis, sacri monti, percorsi di pellegrinaggio… canti liturgici, preghiere, litanie, salmi…lampade, incensi, candele… e infine immagini, icone, pale d’altare, polittici, retabli, stoffe ricamate, paramenti liturgici…
Una ricchezza vastissima che in gran parte non diventa obsoleta ma, anzi, si carica di “presenza” ed ha aiutato la vita della fede nel passato ed aiuta oggi come “sacramentale” del Regno di Dio.
Infatti, la Sapienza ha “conformato” al mistero di Cristo tutte queste concrete manifestazioni esprimendole in un linguaggio particolare. L’immagine sacra ha questo linguaggio specifico nell’icona. La Chiesa d’Oriente lo conserva tutt’ora, mentre la Chiesa
d’Occidente ne conserva dei frammenti mescolati al linguaggio naturalistico dell’umanesimo.
Ultimamente la riscoperta dell’icona ha interessato anche l’occidente, insieme ad un consolidamento delle sue fondamenta teologiche.
Il pittore dell’icona apprende, per via di tradizione, da maestro a discepolo (e non da internet) questo linguaggio che gli insegna a rappresentare correttamente i misteri cristiani.
E’ facile comprendere che questi misteri non possono essere espressi dalla fantasia di un artista e devono avere almeno un riscontro nella Sacra Scrittura, nella Tradizione e nei Segni dei Tempi.
Il pittore iconografo, apprendendo il linguaggio dell’icona, si prepara ad uno spirito di servizio nella Chiesa.
Egli si abitua a condividere uno stile pittorico con altri pittori, del passato e del presente, rendendo possibile un lavoro, anche di gruppo, facilmente leggibile da tutti.
Quando compone, l’iconografo rispetta la struttura “cristocentrica” gerarchica, dove la Madre di Dio, gli angeli e i santi hanno il loro giusto posto.
Se non ha una formazione teologica si deve affidare ad un esperto nella teologia dell’immagine.
L’icona non è firmata dal suo autore benché egli l’abbia realizzata in stretto collegamento con la sua persona e la sua fede tanto da lasciarne una inevitabile impronta ed è per questo che si richiede una vita di preghiera da parte dell’iconografo, come del resto ad ogni ministro ecclesiale.
Il pittore di icone cerca sempre una aderenza alla realtà, alla verità, alla Sacra Scrittura, alla sobrietà, alla semplicità ed all’unità: egli sa che una composizione unitaria, organica, produce per analogia pace ed ordine.
Il tratto caratteristico dell’icona che differenzia subito il linguaggio dell’arte sacra da quello mondano è la dimensione escatologica che “impregna” intimamente la tecnica pittorica e stupisce l’uomo moderno.
Quest’aspetto, detto in termini teorici, può essere semplicemente espresso come “l’eterno di Dio che con l’Incarnazione compenetra il tempo dell’uomo generando una trasfigurazione che c’è già, anche se non ancora in pienezza “.
Ma quali sono i simboli pittorici adatti ad evocare questo mistero?
– lo sfondo d’oro che da un carattere di eterno presente e fa superare la contingenza spazio-temporale; – la luce che con i suoi colori trasfigura volti, vestiti, edifici…
– il disegno netto, preciso, ben leggibile in ogni dettaglio, che sottrae ogni cosa all’incertezza, alla confusione, alla casualità, alla relatività ma la colloca in una dimensione di definitività, di “pienezza”;
– la compostezza dei personaggi colti nel gesto più pregnante e intenso…
– il far sentire al fedele la presenza dei personaggi rappresentati, i cui sguardi sono rivolti verso di lui con un movimento di “incontro”
– l’evitare opere fini a sé stesse ma finalizzate al richiamo del fedele, come dei veri sacramentali, che sono strumenti della Grazia di Dio, e non oggetti da idolatrare.
In tutte le opere di Dio c’è la perfezione divina. Ne consegue che non c’è nulla di inutile ed anche i particolare possono diventare “specchio” per l’uomo della totalità di Dio e meta ultima di ogni cosa. Questo carattere della vita di Dio unita all’umanità, spiega come molte chiese siano intitolate a singoli episodi evangelici: l’Annunciazione, l’Assunzione, la Natività… senza tema di essere incompleti, perché ogni episodio di Dio nella storia rinvia al tutto.
Il ciclo della “Via Cristi” realizzata secondo la Passione dell’evangelista S. Giovanni cristallizza in ogni quadro un mistero da meditare in sé stesso pur facendo parte di un “percorso”.
Gli episodi del vangelo più solenni sono stati fissati con le grandi feste dell’anno liturgico, tuttavia ogni vangelo domenicale può diventare un’icona e una festa liturgica. Lo si può ben cogliere nelle domeniche di Avvento o in quelle della Quaresima (la domenica della Samaritana, del Cieco nato, di Lazzaro…).
In questo spirito si può comprendere come la scelta di ogni immagine come quella che rappresenta le Nozze di Cana possa essere utilizzata come pala d’altare, cioè immagine da tenere sempre davanti, senza timore d’incompletezza o di occupare indebitamente il centro dello spazio liturgico.
Le Nozze di Cana evocano, infatti, diversi temi centrali per la fede:
-la forza di intercessione della Madre di Dio, in grado addirittura di far anticipare gli eventi divini;
-la presenza di Gesù nel quotidiano dell’uomo, presenza santificante che trasforma una festa di nozze da una “mancanza di qualcosa” ad una esuberante “pienezza”;
-la santificazione del matrimonio
-la dimensione “nuziale” ricapitolatrice del rapporto di Dio con l’umanità, o di Dio con l’anima.
-La dimensione “conviviale”, anticipo e modello della beatitudine paradisiaca
-La preparazione al mistero eucaristico della trasformazione del vino nel sangue di Cristo, essenza di tutta la liturgia…
Ecco, soltanto alcune, delle suggestioni evocate dall’episodio delle Nozze di Cana: tutto ci riporta al “centro” dell’esistenza dell’uomo sul modello del racconto evangelico.
Giovanni Mezzalira