Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede

Santi Cirillo e Metodio

Santi Cirillo e Metodio

Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, nati a Tessalonica (attuale Salonicco, Grecia) all’inizio del sec. IX, evangelizzarono i popoli della Pannonia e della Moravia. Crearono l’alfabeto slavo e tradussero in questa lingua la Scrittura e anche i testi della liturgia latina, per aprire ai nuovi popoli i tesori della parola di Dio e dei Sacramenti. Per questa missione apostolica sostennero prove e sofferenze di ogni genere. Papa Adriano II accreditò la loro opera, confermando la lingua slava per il servizio liturgico. Cirillo morì a Roma il 14 febbraio 869. Giovanni Paolo II con la lettera apostolica “Egregiae virtutis” del 31 dicembre 1980 li ha proclamati, insieme a San Benedetto abate, patroni d’Europa (Messale Romano).

14 febbraio. Memoria dei santi Cirillo, monaco, e Metodio, vescovo. Questi due fratelli di Salonicco, mandati in Moravia dal vescovo di Costantinopoli Fozio, vi predicarono la fede cristiana e crearono un alfabeto per tradurre i libri sacri dal greco in lingua slava. Venuti a Roma, Cirillo, il cui nome prima era Costantino, colpito da malattia, si fece monaco e in questo giorno si addormentò nel Signore. Metodio, invece, ordinato da papa Adriano II vescovo di Srijem, nell’odierna Croazia, evangelizzò la Pannonia senza lesinare fatiche, dovendo sopportare molti dissidi rivolti contro di lui, ma venendo sempre sostenuto dai Romani Pontefici; a Staré Mešto in Moravia, il 6 aprile, ricevette il compenso delle sue fatiche (Martirologio Romano).

 

La Presentazione di Gesù al Tempio

Fig. 1: scuola di Novgorod, prima metà XV sec., San Pietroburgo, Museo Russo.

La Presentazione, o «Incontro» (Hypapante), di Nostro Signore Gesù Cristo (2 febbraio) è più nota con il nome di Candelora. Come la maggior parte delle feste di origine palestinese, quella della Presentazione di Cristo al Tempio appartiene all’antichità cristiana. Egeria, fin dal IV secolo, assistette a Gerusalemme alla sua celebrazione, con una processione di grande solennità. Questa festa fu poi introdotta nel VI secolo a Costantinopoli, sotto Giustino e Giustiniano, e di là passò a Roma nel corso del VII secolo. La consuetudine di tenere dei ceri accesi durante l’ufficio dell’Hypapante, inaugurata a Gerusalemme verso il 450, si è conservata in Occidente.

Fig. 2: scuola di Novgorod, fine XV sec., Novgorod, Museo statale d’arte.

Come la festa della Circoncisione (1 gennaio), la Presentazione al Tempio di Cristo bambino ci mostra «l’Autore della Legge osservare i precetti della Legge» (Vespri, tono 1 della Liturgia bizantina delle Ore): si tratta della consacrazione a Dio del primogenito (Es 13,2) e della cerimonia della purificazione della madre quaranta giorni dopo la nascita del figlio maschio (Lv 12,6-8). Il racconto del Vangelo (Lc 2,22-39) ha fornito lo spunto sia per il testo liturgico, sia per l’iconografia della festa.

L’iconografia della festa dell’Hypapante fu fissata definitivamente fra il IX e il X secolo ed è rimasta sostanzialmente inalterata. Talvolta il Cristo bambino è portato da sua Madre (fig. 2), che lo tende verso san Simeone; più spesso, tuttavia, è quest’ultimo a tenere in braccio il Bambino (fig. 1). Il Cristo non è mai rappresentato in fasce, ma porta per lo più una corta veste che lascia scoperte le gambe. Seduto sulle braccia tese di Simeone, in alcuni casi lo benedice. Si tratta del Cristo bambino del tipo dell’Emmanuele. «Il Verbo del Padre, che non ha inizio, prende origine nel tempo senza essere separato dalla sua divinità» (Vespri, tono 1). «L’Antico dei giorni si fa bambino nella carne» (Vespri, tono 5). «Colui che ha dato la Legge a Mosè sul Sinai… è condotto al Tempio conformemente alla Legge» (Vespri, tono 1). Come nel racconto di san Luca, il tema della purificazione della Madre è quasi dimenticato: il tema centrale della festa è l’«Incontro» del Messia: l’incontro dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Fig. 3: particolare della fig. 2.

L’Incontro si svolge nel tempio, davanti all’altare che, nell’icona n. 1, è ricoperto da un baldacchino. Talvolta compaiono sull’altare una croce, un libro o un rotolo di pergamena. Ai lati dell’altare stanno la Madre di Dio (fig. 1, alla sinistra dello spettatore) e san Simeone (a destra). La Madre di Dio tende le mani in un gesto di offerta. Ha appena affidato il Figlio alle mani di Simeone. Il santo vegliardo, proteso in avanti, tiene il Bambino con entrambe le mani, coperte dalla sua stessa veste in segno di venerazione. San Giuseppe segue la Madre di Dio, tenendo in una piega del mantello l’offerta dei genitori poveri (Lv 12,8): due tortorelle o due giovani colombi (fig. 3). Sant’Anna, figlia di Fanuele, una «vedova di circa ottantaquattro anni» (Vespri, tono 8), sta dietro san Simeone (fig. 1 e fig. 4) o dietro la Madre di Dio (fig. 2), in secondo piano come san Giuseppe.

Fig. 4: scuola di Novgorod, fine XV sec., Novgorod, Museo statale d’arte.

Grande importanza è data alla figura di Simeone, «colui che accoglie Dio». Le sue parole profetiche, uno dei tre «Cantici del Nuovo Testamento», sono cantate ai Vespri durante tutto l’anno liturgico. Si è ipotizzato di riconoscere nel santo vegliardo che ha ricevuto fra le braccia il Cristo un sacerdote del tempio. Alcuni autori sostengono che egli fosse uno dei dottori della Legge, figlio di Hillel e padre di Gamaliele, il maestro di san Paolo. Altri hanno supposto che Simeone fosse uno dei Settanta, i traduttori della Bibbia, e che Dio lo avesse mantenuto in vita per trecentocinquanta anni, fino alla venuta del Messia. I testi liturgici lo celebrano come il più grande fra i profeti: più ancora di Mosè, Simeone merita il titolo di «colui che ha visto Dio», poiché Dio apparve a Mosè nella nube, mentre Simeone ha portato fra le braccia il Dio eterno incarnato: «Egli ha rivelato la luce delle nazioni, la Croce e la Resurrezione» (Vespri, stichirà di Anatolio; un’allusione alla «spada che trapasserà l’anima di Maria» nello stesso versetto). Il Nunc dimittis riceve così un nuovo significato: il profeta chiede al Signore di concedergli di andare ad annunciare l’Incarnazione negli inferi (ufficio di san Simeone, 3 febbraio, ode 6 del canone).

Nelle nostre icone nulla indica che Simeone possedesse dignità sacerdotale. È a testa scoperta e porta i capelli lunghi secondo l’uso di un nazireo; la lunga veste arriva fino ai piedi. «Il Cristo bambino è seduto sulle braccia del vecchio come su un trono» (Vespri, tono 8). Nella IX ode del Mattutino Cristo dice: «Non è il vecchio che mi sostiene; sono io che sostengo lui, perché egli implora il mio perdono».

Da: L. Uspenskij, V. Losskij, Il senso delle icone, Jaka book 2007, pp. 160-162.

 

L’incontro

l’icona della Presentazione al Tempio – 2 febbraio

Il significato etimologico della parola liturgia è “azione a favore del popolo” e, analogamente, l’icona è dipinta per produrre e stimolare un effetto benefico nel fedele e non per dare solennità ai suoi contenuti sacri.

In sostanza, le icone sono pensate per il nostro bene e non fine a se stesse. L’immagine iconografica ha una specifica finalità: fissare una pienezza, una definitività, un culmine sottolineandola anche in singoli episodi.

Presentazione al Tempio – Affresco della Macedonia

 

È così che in un particolare avvenimento della vita di Cristo, la sua Presentazione al Tempio, fra i personaggi che compongono questa scena, c’è anche il vecchio Simeone che accoglie il Bambino. Questo dettaglio è diventato un soggetto sacro degno di essere collocato, nella teologia dello spazio sacro, al centro dell’abside, proprio nel cuore dello spazio presbiteriale. Del resto, basta riflettere un attimo e si capisce che Simeone ebbe premiata la sua fiduciosa attesa del Messia e nel momento in cui stringe il Bimbo fra le braccia non può che esprimere la pienezza della sua gioia giunta al culmine e non desiderare nulla di più. Dal suo cuore scaturisce allora quell’inno (Nunc dimittis) cantato tutte le sere a compieta dalla Chiesa orante. Continua a leggere

Il mistero delle acque salutifere

Battesimo di Gesù nel Giordano

Il testo evangelico, la liturgia, l’innografia e l’iconografia sacra non ci tengono nascosta la portata cosmica dell’episodio del Battesimo di Gesù al Giordano. Vastissimi sono i riverberi sottolineati dai Padri della Chiesa che hanno contemplato questa Teofania per ispirare a loro volta i poeti e i pittori. Qui vogliamo soltanto soffermarci sul mistero dell’acqua.

Battesimo di Gesù nel Giordano

Nelle icone il Giordano è rappresentato in verticale diventando in tal modo una fenditura della terra piena d’acqua in cui si immerge il purissimo Corpo del Verbo incarnato. Con questa immersione si produce un sovvertimento cosmico. La vocazione dell’acqua sappiamo che è quella di lavare, pulire, ma le acque del Giordano si ritrovano ad avvolgere paradossalmente il Purissimo. Ne scaturisce un capovolgimento cosmico: «Perché, mare, tu fuggi, e tu, Giordano, ti volgi a ritroso?» canta il Salmo 114.

Il pittore del sacro continua questo linguaggio evocatore del portento in atto come in questa icona armena raffigurante un dinamismo ricchissimo impresso all’acqua con mostri e serpenti che fuggono, pesci che guizzano e acque che paiono ribollire.

L’acqua costituisce un elemento fondamentale nella vita del creato e il nostro corpo stesso è costituito in gran parte di questo elemento. Il Verbo di Dio, assumendo un corpo, ha inaugurato una nuova creazione non solo senza le conseguenze del peccato originale ma pure unita alla bellezza divina.

Hosios Loukas XI sec.

Immergendosi nelle acque del Giordano, Gesù conferisce all’acqua quel potere che nel Battesimo ci rende figli di Dio. È l’inizio di un processo caratteristico di questa ri-Creazione del cosmo dove la materia partecipa a pieno titolo all’efficacia sacramentale in virtù del suo legame con il Corpo di Gesù che vi si è immerso nel Giordano rendendola acqua salutifera.

Giovanni Mezzalira

Emmanuel

EMANUEL (V. Solov’ev)

Nell’ombra dei secoli si è ormai dileguata Vladimirskaja
quella notte in cui, stanca di male e di affanno,
la terra posò nelle braccia del cielo,
e nel silenzio nacque Dio-è-con-noi.

Molte cose oggi non sono, che erano possibili ieri:
i re più non scrutano il cielo,
e i pastori non ascoltano nel deserto
come gli angeli parlino del Signore.

Ma ciò che di eterno in quella notte fu rivelato
non può essere ormai più corrotto dal tempo;
e il Verbo nato in quell’evo remoto, sotto a una greppia,
ti rinasce nuovo nell’anima.

Sì – Dio è con noi: ma non già sotto l’azzurro padiglione,
non al di là dei confini dei mondi innumerevoli,
non nel perfido fuoco, e non nel fiato delle tempeste,
non chiuso nella sopita memoria dei secoli.

È qui Egli, adesso; e tra l’effimera vanità,
nel torrente torbido delle ansie della vita,
tu possiedi un segreto onnigioioso:
impotente è il male, e eterni noi siamo: Dio è con noi.

L’immagine della fede

Le icone sono un ponte tra il divino e la dimensione umana

«Come la lettura dei libri materiali permette di far comprendere la parola vivente del Signore, così l’ostensione di un’icona dipinta permette, a quelli che la contemplano, di accostarsi ai misteri della salvezza mediante la vista. Ciò che da una parte è espresso dall’inchiostro e dalla carta, dall’altra, nell’icona, è espresso dai diversi colori e da altri materiali», sottolineava Giovanni Paolo II nella lettera apostolica in occasione del XII centenario del concilio di Nicea.

Madonna della Tenerezza, 2009, particolare

Il mondo dell’icona è il mondo umano trasfigurato, o quello divino reso visibile: uno sguardo sintetico su entrambi questi punti di vista è dato dalla prospettiva escatologica, una “sfida” che l’icona accetta di mostrare. Una “sfida” che Annarosa Ambrosi, iconografa, ha intrapreso da tempo.«Sono interessata alla ricerca della verità – racconta –.  In ogni icona che realizzo cerco di capire come il contenuto di verità, che si cerca di enucleare dalla dottrina dei Padri e dalla tradizione della Chiesa, sia efficace nel trasmettere la fede anche ai giorni nostri». Docente di storia e filosofa, e di ebraico biblico, dalla fine degli anni Settanta ha coltivato e approfondito la conoscenza della cultura religiosa russa, dedicandosi successivamente alla realizzazione delle icone. Continua a leggere

Akatistos

Ave, o stella che il Sole precorri,
Ave, o raggio di Sole divino,
Ave, o Madre dell’Astro perenne,
Ave, o aurora di mistico giorno.
Ave, per Te si rinnova il creato!

Ave, o scala celeste che scese l’Eterno,
Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo,
Ave, Tu barca di chi ama salvarsi,
Ave, Tu porto a chi salpa alla Vita.
Ave, Tu apri le porte del cielo!

Ave, o Madre all’Agnello Pastore,
Ave, o recinto di gregge fedele,
Ave, sorgente di latte e di miele,
Ave, Tu mistica terra promessa.
Ave, per Te il Creatore è bambino!

Ave, Tu roccia che effondi le Acque di Vita,
Ave, Tu colonna di fuoco che guidi nel buio,
Ave, o tenda del Verbo di Dio,
Ave, Tu Arca da Spirito aurata.
Ave, Tu porti Colui che il tutto sostiene!

Ave, bell’albero ombroso che tutti ripari,
Ave, o tralcio di santo Germoglio,
Ave, o fiore di vita virginea,
Ave, o ramo di Frutto illibato.
Ave, dài vita all’Autor della vita!

Ave, che unisci i fedeli al Signore,
Ave, rischiari qual lampo le menti,
Ave, qual tuono i nemici spaventi,
Ave, clemenza di Dio verso l’uomo.
Ave, fiducia dell’uomo con Dio!

frasi scelte dall’Akatistos

O Sapientia!

Emmanuele, San Marco - Venezia, particolare

Emmanuele, San Marco – Venezia, particolare

O Sapientia,
quae ex ore Altissimi prodisti,
attingens a fine usque ad finem,
fortiter suaviter disponensque omnia:
veni ad docendum nos viam prudentiae.

O Adonai,
et dux domus Israël,
qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti,
et ei in Sina legem dedisti:
veni ad redimendum nos in brachio extento.

O Radix Jesse,
qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum,
quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos,
jam noli tardare.

O Clavis David,
et sceptrum domus Israël,
qui aperis, et nemo claudit,
claudis, et nemo aperit:
veni, et educ vinctum
de domo carceris,
sedentem in tenebris,
et umbra mortis.

O Oriens,
splendor lucis aeternae,
et sol justitiae:
veni, et illumina
sedentes in tenebris,
et umbra mortis.

O Rex Gentium,
et desideratus earum,
lapisque angularis,
qui facis utraque unum:
veni, et salva hominem,
quem de limo formasti.

O Emmanuel,
Rex et legifer noster,
expectatio gentium,
et Salvator earum:
VENI AD SALVANDUM NOS, DOMINE DEUS NOSTER!

(Antifone maggiori dell’Avvento, Liturgia latina delle Ore)

San Giovanni Paolo II

Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! 
(22 ottobre 1978)

Dalla Lettera Apostolica Duodecimum saeculum di S. Giovanni
Paolo II (4 dicembre 1987), § 11.
“Da alcuni decenni, si nota un ricupero di interesse per la teologia
e la spiritualità delle icone orientali; è un segno di un crescente
bisogno del linguaggio spirituale dell’arte autenticamente
cristiana. A questo proposito, non posso non invitare i miei fratelli
nell’episcopato a “mantenere fermamente l’uso di proporre nelle
Chiese alla venerazione dei fedeli le immagini sacre”
( Sacrosanctum Concilium , 125), e ad impegnarsi perché sorgano
più opere di qualità veramente ecclesiale. Il credente di oggi,
come quello di ieri, deve essere aiutato nella preghiera e nella
vita spirituale con la visione di opere che cercano di esprimere il
mistero senza per nulla occultarlo. È questa la ragione per la
quale oggi come per il passato, la fede è l’ispiratrice necessaria
dell’arte della Chiesa.

La riscoperta dell’icona cristiana aiuterà anche a far prendere
coscienza dell’urgenza di reagire contro gli effetti
spersonalizzanti, e talvolta degradanti, delle molteplici immagini
che condizionano la nostra vita nella pubblicità e
nei mass–media; essa infatti è una immagine che porta su di noi
lo sguardo di un Altro invisibile, e ci dà accesso alla realtà del
mondo spirituale ed escatologico.

La nostra tradizione più autentica, che condividiamo pienamente
con i fratelli ortodossi, ci insegna che il linguaggio della bellezza,
messo a servizio della fede, è capace di raggiungere il cuore degli
uomini e di far loro conoscere dal di dentro colui che osiamo
rappresentare nelle immagini, Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto
uomo “lo stesso ieri e oggi e per tutti i secoli” (Eb 13, 8)”.

 

Corsi della Scuola di Iconografia “San Luca” per l’anno 2024-2025

riprendono i corsi annuali della Scuola Diocesana di Iconografia s. Luca

I corsi annuali della Scuola di Iconografia s. Luca  si svolgeranno con le seguenti modalità:

A. presso il Centro Parrocchiale Don Bosco – Via Pelosa 63 – Caselle di Selvazzano.
Vi si svolgeranno i corsi quindicinali tenuti da G. Mezzalira e Annarosa Ambrosi

B. corso estivo giugno 2025: Maestro Enrico Bertaboni. Le informazioni dettagliate in merito verranno pubblicate prossimamente.

I corsi saranno strutturati come segue:

CORSO CON MAESTRO GIOVANNI MEZZALIRA
(Centro Parrocchiale Caselle, secondo piano):

  • Livello intermedio (proficienti): Madre di Dio della Tenerezza (volti);
  • Avanzati: Arcangelo Michele del Sinai oppure S. Giorgio a cavallo della Scuola di Novgorod.
    Per indicazioni su costi, soggetti e tavola, contattare il docente.

CORSI CON MAESTRA ANNAROSA AMBROSI
(Centro Parrocchiale Caselle, secondo piano):

  • Principianti: il Volto di Cristo.
  • Proficienti e avanzati: Il Salvatore tra le Potenze della Scuola di Mosca.

Per indicazioni su costi e tavola, contattare la docente.

CORSO CON MAESTRO ENRICO BERTABONI

  • Corso intensivo estivo 13-20 giugno 2025.
    Date, soggetti e altro: da definire (aggiornamenti in iconografi.it).

Incontro di apertura: Venerdì 18 ottobre ore 17.
Presentazione dei corsi e saluto presso l’Abbazia di Santa Giustina a Padova, ingresso da Via Ferrari 2a.
A seguire: S. Messa presieduta da S.E. il Vescovo Claudio e benedizione presso la Tomba di S. Luca.

 

VIAGGIO DI STUDIO 10-18 maggio 2025: I Monasteri dipinti della Romania